
Nella sua introduzione, la Serao racconta come e perchè, da una sua novella/leggenda (donnalbina, donna Romita, donna Regina), sia nato poi il libro. 1 delle sue 2 ragioni (l’altra se vi va, andatevela a vedere) è dovuta al desiderio di prolungare ciò che per sua natura è finito. “Quando gli scrittori hanno scritto una breve cosa, che piaccia loro molto, per particolari ragioni o che abbia trovato molto compiacente il pubblico, vedono subito il libro. Sono come gli innamorati, gli scrittori, l’uomo ripugna dalle cose brevi, gli sembrano ignobili, lo rattristano, gli danno il senso della caducità di ogni cosa: l’uomo non si rassegna e combattendo contro la oscura volontà delle cose, cerca di prolungare la durata di quello che doveva esser finito. E si prolunga… Così gli scrittori. Lampeggia loro un’idea, una soave forma di arte sorride loro: e invece di sobriamente concentrarsi, essi vogliono dividere il lampo in cento fiammelle, essi tentano di suddividere il sorriso, malaugurati aritmetici, chimici sventurati! E scrittori e innamorati sarebbero più felici, se lasciassero morire tutto quello che deve morire; quanti mediocri libri di meno, quanti cuori spezzati di meno! Ma infine il mio peccato d’arte rassomiglia quello di tanti altri, di me migliori, e colui che, dopo aver scritto un sonetto, o una novella, o un romanzo non ha sognato la serie, il ciclo, colui solo ha il diritto di biasimarmi. Ahimè, non ve ne è nessuno forse!” (Matilde Serao)
E io aggiungo, meno male.
