Antonio Ballester Moreno ritorna ai rudimenti dipingendo come un bambino, scarabocchiando triangoli e picchettando, in modo ripetitivo, puntini e pallini, motivi floreali e crani sulle sue figure. Con larghi e pesanti strati di colore, occasionali e spesse gocce colate ricopre ogni cosa, dai leoni ai fiori pixellati. Col risultato che i suoi lavori possono essere visti sia come astratti che figurativi. Non fatevi ingannare però da colori brillanti ed espressioni giocose, c’è infatti una fissità negli sguardi e una forzatura nei sorrisi che rivelano qualcosa d’inquietante e comicamente oscuro. Cosa? Non sono proprio riuscita a capirlo… Altra sua caratteristica è l’imprescindibile legame uomo-natura: tra giungle amazzoniche e sfondi aztechi sembra muoversi più a suo agio che tra interni borghesi. Le sue figure sono nostalgiche, tutte con gli occhi spalancati su qualcosa, forse sul dimenticato o sulle scene sublimate dell’infanzia, che, nella loro ruvida e coscienziosa esecuzione, rivelano la mano attenta che cura profondamente i soggetti, fin nei minimi particolari, rivelando talento autentico e quella follia latente che non riesco, però, proprio ad afferrare.