lunedì 10 maggio 2010

INSOMNIA

E’ posato sulla parete alle mie spalle. Con la coda dell’occhio ne posso vedere i movimenti svelti; si muove a scatti cercando una via di fuga o semplicemente una posizione più comoda per passare la notte.
Lo sento tamburellare con le zampe e quando alla fine, si sposta in avanti sul tubo di bronzo della corrente elettrica, il suo addome vibra ai suoi passi e perde il suo carattere di animale e diventa uno strumento. Come un giocattolo di gomma, di quelli che si danno in bocca ai bambini senza denti. Ma non suona, il suo addome, semplicemente, vibra.
Anche lui mi guarda. I suoi occhi sono punte di spillo neri infilzati in un muso lungo un po’ schiacciato. Se fosse grande come un alligatore, ne avvertirei la pericolosità, ma così è solo un geco indifeso che cammina seguendo il perimetro del soffitto attratto dal chiarore della luce.
Non posso fare a meno di guardarlo. E lui altrettanto.
Ore 0,25
Sto cercando di concentrarmi sulla lettura. Dürrenmatt occupa da tempo il comodino. Ci sono certi racconti che mi sembrano geniali per quanto sono raffinatamente assurdi. Ma sono come scatole cinesi… apri il coperchio e non sai mai dove ti porterà il prossimo capoverso… ma stasera non riesco a concentrarmi. Sento gli occhi del geco che mi fissano sulla nuca ed un leggero senso di fastidio mi pervade, come quando ci si mette a letto con la convinzione che non si è fatto qualcosa di importante che non si poteva proprio rimandate, ma nonostante gli sforzi per ricordarlo, proprio non ti viene in mente: chiudere il gas?! Serrare la finestra bassa del soggiorno?! Attaccare la macchinetta contro le zanzare?!... oh, non viene, non c’è nulla da fare!
Così trascorro quasi tutto il tempo a tenere d’occhio trasversalmente ogni leggero ed impercettibile movimento del geco e sembra proprio che lui faccia altrettanto. Così, mi sono ritrovato a restare io stesso immobile e piatto più che posso fasciato dal lenzuolo verde.
Non è paura… mi aspetto semplicemente che in una sua mossa un po’ goffa, mi piombi sul letto, magari sulla faccia, con quelle sue zampette arcuate e preistoriche… dio… non lo sopporterei. Ma non ho nemmeno il coraggio di alzarmi e cacciarlo via; e se si andasse a nascondere in un luogo da cui poi è difficile stanarlo? E se me lo ritrovassi, al mio rientro in città, imprigionato nella mia valigia di pelle nera? Adagiato tra la mia biancheria intima… magari lo indosserei con le mie mutande o lo si potrebbe vedere spuntare dalla manica di una camicia mentre in metropolitana cerco di afferrarmi ad un sostegno per non cadere…
Ore 2,40.
E’ tutta le notte che sto qui, poggiata a questo tubo di ottone. Dall’altra parte della parete vedo un chiarore… c’è una luce accesa e mi basterebbe scivolare sul mio addome morbido e darmi una spinta veloce sulle mie zampette prensili… l’addome vibrerebbe, come uno strumento, basterebbero che so… una cinquantina di passetti lunghi e vibranti per portarmi dall’altra parte, ma davvero… non ho il coraggio di fare nemmeno un passo… e se quello che mi fissa da ore impaurito prende una scopa e mi schiaccia? Ne ho visti di miei compagni di sventura fare una fine tanto brutta. Il fatto è che ciò che è diverso da te si teme per forza e dato che io appartengo alla famiglia dei non umani, dato che ricordo vagamente un rettile, dato che non emetto alcun suono se non una vibrazione come fossi riempito di bilie di vetro, allora sono sicuramente da eliminare. E’ la mia velocità che impaurisce, con il mio muovermi a scatti. Questo gli uomini non lo possono proprio controllare ed allora giù a menare colpi con la scopa! Certo il mio colore rosa carne non mi aiuta… se fossi bello come quei gechi che fanno vedere sui libri di biologia, neri e verdi, gialli e viola… nessuno aspirerebbe a prendermi a ramazzate. Ma questo tenue color carne, mi fa evidentemente assomigliare a qualcosa che incidentalmente non è umano ma avrebbe voluto esserlo, ad una protesi animata, ad un pezzo anatomico scappato per chissà quale singolare ragione da un tavolo settorio. Intanto sto qui, immobile e fremente, sono già più di due ore che cerco di non attirare la sua attenzione, ma lui continua a guardarmi fissa, di sbieco, di nascosto, senza voltare la testa o girandola di novanta gradi…
Ore 4,20.
Come vedevo fare da mio padre, per guardare l’ora sollevo l’orologio tenendolo per il cinturino piegato su se stesso. Sono distrutto dal sonno, ma non riesco davvero ad addormentarmi.
Sono ridicolo, lo so, sono assurdo… un essere umano che si fa immobilizzare così da un geco… ma davvero, non è la paura, è l’imprevisto che mi fa tremare, l'angoscia che mi piombi sulla faccia con quel suo corpo disarticolato… già lo immagino… ad un certo punto le sue zampette perdono l’aderenza con il soffitto proprio mentre sta attraversando lo spazio sopra la mia testa… mi vede… un momento di panico o di stupore e là! Mollata la presa, ecco che quel corpo mediamente molliccio, mi precipita sulla faccia e nell’urto con il mio naso – o peggio con mia lingua visto che sono raffreddato e spesso dormo con la bocca aperta – ballerino di una danza sgraziata, solleva subito le zampette di dietro per tentare una fuga impacciata e terrorizzata ed allora io sento i suoi artigli infilzare la pelle della faccia e muoversi quasi di corsa sui miei occhi sgranati e certamente mi ferirebbe e…
Ore 6,00.
Sta albeggiando. Finalmente… mi sembrava che questa notte non dovesse terminare mai, ed invece ecco che il sole sta cominciando a trafiggere le persiane della finestra e tento un leggero movimento delle zampe posteriori.
Devo fare tesoro di questa esperienza. Mai più dovrò trascorrere l’intera notte fisso in un posto, né dovrò cimentarmi in lunghe traversate. Il segreto è: spostamenti piccoli e brevi sempre lungo il perimetro del soffitto, mai in diagonale, perché è questo che agita gli uomini, l’occupazione dello spazio che loro percepiscono come il loro. Fisso punti di riferimento certi e sicuri. Là c’è una porta, oltre quella una finestra con una fessura, un sicuro nascondiglio. L’aria che esce da quella porta è calda e accogliente. Devo correre, correre, correre tanto velocemente che le zampe posteriori e quelle anteriori debbono quasi formare un cerchio… ecco la vibrazione dell’addome… suono come uno strumento…
Ore 6,10.
Mi sono alzato per andare in bagno. Quando il Sole ha cominciato ad infilarsi prepotente nelle fessure delle persiane, un raggio rifratto mi ha colpito l’occhio, proprio nel momento in cui mi ero appisolato un po’. Mi sono girato e non ho visto più gli occhi immobili del geco che mi fissavano ed allora mi sono detto… “è andato”…

“Insomnia” è il racconto di un incubo notturno condiviso da un uomo e un geco in un luogo e un tempo imprecisati. E’ il quinto degli otto raccolti in “Mille Porte”, l’ultimo libro di Ombra, cara amica e scrittrice visionaria. Si tratta, come scrive lei, di scritti senza un prima o un dopo, solo un attraverso. Non è necessario trovare un messaggio e tantomeno indugiare a chiedersi se ciò che è scritto, sia probabile o realmente accaduto. Si tratta di visioni e nulla più.
Non si trova in libreria ma sul sito http://www.ilgiralibro.com/