lunedì 15 febbraio 2010

MURAKAMI FOREVER II

A Teo

Di nuovo Murakami da centellinare. Questa volta si tratta di “Kafka sulla spiaggia”, una storia dove bidimensionale e adolescenziale (vedi Murakami Forever) sono finalmente insieme. Tamura Kafka è un quindicenne che fugge da una profezia. E’ accompagnato dal ragazzo chiamato Corvo, la sua coscienza/uccello, che interviene di tanto in tanto a donargli sprazzi di lucidità. L’anziano e poetico Nakata invece parla coi gatti ed è completamente, pericolosamente vuoto tanto che chiunque può entrarci in quello spazio immenso, con gravi effetti collaterali. Lo fa Johnnie Walker che non ha niente a che vedere col whisky scozzese, ma è solo un’immagine di panciotto e cappello a cilindro presa in prestito non vi dico da chi e senza il permesso di nessuno. Entrando Johnnie scombussola il consolidato equilibrio di Nakata e innesca una catena di eventi che coinvolgono l’esistenze di molti. Il passaggio da una dimensione all’altra questa volta non è ne’ un armadio, ne’ un ascensore e tantomeno un pozzo, ma una foresta. L’accesso è possibile grazie alla pietra d’entrata che Nakata deve recuperare per richiudere il passaggio. “L’altro posto” è un villaggio fornito di elettricità e ogni genere di confort in stile spartano, abitato da eterei personaggi svuotati anch’essi. Ma “il posto” è anche la biblioteca, il quadro, la spiaggia, la stanza di un anonimo albergo, l’area di servizio di un’autostrada… stop. Non dico altro. A voi la lettura se così vi piace!
“Qualche volta il destino (è il ragazzo chiamato Corvo a parlare) assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. E’ qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai né sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fosse fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo.
E naturalmente dovrai attraversarla, questa violenta tempesta di sabbia. E’ una tempesta metafisica e simbolica. Ma per quanto metafisica e simbolica, lacera le carni come 1000 rasoi. Molte persone verseranno il loro sangue, e anche tu forse verserai il tuo. Sangue caldo e rosso. Che ti macchierà le mani. E’ il tuo sangue, e anche il sangue degli altri.
Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro che sia finita davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia”.