domenica 2 gennaio 2011

OMAGGIO A BRETON

“L’amplesso poetico come l’amplesso carnale
Sinché dura
Vieta le prospettive di miseria del mondo” (Andrè Breton)


Tra gli scritti che di tanto in tanto ritornano ci sono quelli di Andrè Breton, divenuto surrealista dopo aver esplorato Simbolismo, Cubismo e Dadaismo. Le sue poesie sono iscrizioni apparentemente casuali, parole assemblate in assonanze o dissonanze che ubbidiscono all’affiorare dell’intuizione. Vivamente sconsigliata è la ricerca della rima baciata (rarissima) così come del significato univoco o universale (l’arrivo dell’Autunno o l’esperienza di quel bacio rubato), ma se proprio lo si vuole trovare è consigliabile lasciarsi andare alle libere associazioni che, come si sa, sono diverse per ognuno, perciò sono libere. E quando si ravvisa nell’artista intenzionalità di significato, allora questo riguarda solo lui, il suo vissuto, il suo immaginario e talvolta anche il fatto di cronaca. Breton offre immagini casuali che la memoria iceberg assembla fin quando qualcosa riaffiora. E’ questo per me il senso della sua poesia, se proprio deve essercene uno.

Frôleuse

I miei bauli non hanno più peso le etichette sono riflessi che corrono su uno stagno
Basterà tutto per questa contrada a cui conduce assai dopo che è stata messa in disuso la diligenza notturna
Tutta di cristallo nero lungo le mole vortice di quaglie
Castello che trema e che lo giuro è stato depositato davanti a me da una saetta
Luogo privato di tutto ciò che potrebbe renderlo abitabile
Vedo soltanto stretti corridoi intricati
Scale a chiocciola
Soltanto in cima alla torre di vedetta
Esplode l’aria tagliata a rosetta
Bandito superstiziosamente il luogo ove originariamente era una bracciata di giunchi per stendersi
L’architetto pazzo di ciò che restava di spazio libero
Sembra aver sognato un deposito per mille tavolini rotondi
A ciascuno dei quali si presume che cenino con caviale e champagne
Con me dei busti di cera uno più bello dell’altro ma tra di essi irriconoscibile s’è insinuato un busto vivo
Busti perché c’è una tovaglia sola a riflessi cangianti per tutte le tavole
Lacunosa quanto basta per imprigionare il torso di tutte quelle donne finte e vere
Tutto quello che è o che non è sotto la tovaglia svanisce nella musica
Oracolo atteso della punta d’una scarpa
Più brillante d’un pesce gettato tra l’erba
O d’un polpaccio che fa un mazzolino delle lampade da minatore
O del ginocchio che lancia il falpalà nel mio cuore
O d’una bocca che scende che scende a versare il suo profumo
O d’una mano dapprima un poco a margine nell’istante stesso in cui si rivela che non evita affatto un rapporto d’ali con la mia mano
O menischi
Al di là di tutti i doni permessi e proibiti
A dorso d’elefanti questi piloni che s’assottigliano sino al filo di seta nelle grotte
Menischi adorabile tenda di tangenza quando la vita non è più altro che un airone che beve
E guarda che così bene non ti rivedrò mai più