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La Einaudi nel 1992, pubblicò Petrolio con una copertina totalmente bianca. Purezza del pensiero, saggezza della vecchiaia, senso di pulizia e di giustizia, spirito libero e casto che trova, nella voce sempre fuori dal coro di Pasolini, una espressione forte, di denuncia e di sgomenta consapevolezza della china discendente che l'Italia aveva intrapreso dopo l'omicidio di Enrico Mattei.
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Così, in tutti questi lunghi anni, ho coltivato un po’ frammentariamente, la conoscenza con Pasolini. Potrei parlare dei suoi film, delle simbologie, della religione,... ma davvero Petrolio è stato la summa di tutto. E non solo è stato un libro testamento, ma è forse anche l'epilogo scenografico per cui - mi convinco sempre di più - che quello di Pasolini non sia stato un omicidio, ma un suicidio annunciato. E questa consapevolezza, mi è arrivata proprio dalla lettura di Petrolio...
Il libro è un viaggio, o meglio, una fantastica visione dello scandalo Eni che portò all'omicidio di Enrico Mattei. Ma pur essendo pieno di riferimenti storici, è scritto con la leggerezza di una poesia; è avvincente come un giallo nel tempo stesso è pieno di un candore quasi inesprimibile; Pasolini - che pure era un Intellettuale difficile ed esigente - si meraviglia, anzi si sgomenta della forza distruttrice della politica e tutta la storia ruota in modo davvero circolare sulla doppia identità di un personaggio che è nel contempo meschino e poetico, fino alle lacrime. Il doppio ritorna, così come in Kafka, come in Borges, come in Durrenmatt... ma è un doppio che vive nel suburbio di una città caotica e crudele, che fa male e a cui viene fatto del male ed alla fine la vera ragione del romanzo - la morte di Mattei e lo scandalo Eni - diventa una sorta di fondale fisso eppure in continua evoluzione davanti a cui tutta la storia si srotola. Non voglio scrivere di più, perchè è difficile scrivere senza cadere nella banalità delle cose già dette e ridette. Io so che da quando ho letto Petrolio, la letteratura per me non è stata più la stessa e la magia del romanzo incompiuto, come sempre mi accade, ha fatto il resto, aprendomi scenari nuovi ed inesplorati, fino a farmi giungere alla conclusione che quella sera di Novembre del 1975, Pasolini è andato a quell'appuntamento con la reale consapevolezza che voleva morire, che era una morte esagerata, che voleva regalarci, un sacrificio, l'ultimo, per un uomo che aveva vissuto in modo esagerato tutta la sua vita. Era come la fine di un suo copione, un finale a sorpresa, un finale che ci avrebbe fatto riflettere e che avrebbe sollevato (ed irritato) molte coscienze. E non è per vigliaccheria che non si è annodato una corda al collo o si è sparato un colpo di rivoltella... E forse ci avrebbe voluto dire, che non era solo un uomo che si stava suicidando, ma la poesia e la forza del pensiero e la fede. Immagino che questo commento possa suscitare varie e diverse reazioni. Si può essere d'accordo o no. E non bisogna essere intellettuali o presunti tali per esprimere un'opinione. Io scrivo, scrivo di visioni, scrivo di finzioni, scrivo storie che non stanno nè in cielo nè in terra, e questo mi affascina di uno scritto. La possibilità che esso possa essere pura visione o - come direbbe Borges - pura finzione. E quindi non esprimo un giudizio politico, nè sociologico, ma solo un punto di vista letterale ed umano. E quanto più un libro resta incompiuto, tanto più allarga i confini delle possibilità e diventa un inestricabile dedalo di sentieri diversi. Bisogna solo abbandonare ogni forma di pregiudizio e farsi guidare dalla poesia, e in qualche luogo, certamente, si arriverà lo stesso. Anche senza guide.
OMBRA
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